Il calciomercato del Cosenza ispirato da Agatha Christie
(Io NON voglio più essere in linea con la pandemia)
“Dieci piccoli indiani se ne andarono a mangiar, uno fece indigestione: e solo nove ne restar”
È solo la prima strofa di “Dieci piccoli indiani”, la filastrocca resa famosa da Agatha Christie nel suo omonimo romanzo, dal quale sono stati tratti vari film (per me il più bello resta quello del 1974), e che costituisce il fil rouge su quale l’immortale autrice costruisce un vero capolavoro, carico di tensione.
Ora adattiamo le strofe al calciomercato del Cosenza:
Dieci giocatori il Cosenza andò a cercar, ma al primo disse vedremo … e solo nove ne restar.
Nove giocatori per giorni stanno ad aspettar, uno subito scappò, otto soli ne restar.
Otto giocatori aspettano per firmar, ma la penna non si trova, e solo sette ne restar.
Ovviamente stiamo parlando di un qualsiasi mercato del Cosenza in serie B, sin da quando siamo saliti. Esemplare, tra le tante, fu la desolante telenovela Rossetti. Chi potrebbe dimenticarla? Quell’anonimo attaccante dell’Ascoli che non giocava da decenni, e nonostante questo rifiutò il trasferimento, manco fossimo appestati?
Fortunatamente poi arrivò lo svincolato Riviere.
Oddio, spero che il DS Goretti non legga questa cartolina, altrimenti al sentire la parola “svincolato” potrebbe sentirsi male, e d’altronde come non dargli ragione?
Che senso ha ingaggiare uno svincolato che ci vogliono minimo due mesi per renderlo pronto? Ovviamente sorvoliamo sul lieve dettaglio che solo a Cosenza ci vogliono mesi, mentre da tutte le altre parti scendono subito in campo. Ma noi forse dobbiamo prepararli per la Maratona di New York (nu ricurdamu a ‘Mbakogu?).
E poi il calciomercato parla chiaro, finora ha contattato almeno dieci giocatori, poi rimasti in nove, anzi otto, anzi sette …
Sette giocatori seduti al tavolo a parlar un di lor si stancò … , e sei soli ne restar.
Sei giocatori ora vogliono pranzar, ma il Presidente non paga il conto … e solo cinque ne restar.
Cinque giocatori hanno fretta di giocar, uno lo ferma un infortunio, quattro soli ne restar.
Quattro giocatori un contratto voglion trovar, uno l’ingaggio d’altra parte trova, e tre soli ne restar.
È la sfortuna che si accanisce contro il nostro beneamato Cosenza: se è vero “ka ù bagget fin’a mmo è statu striminzitu”, è pur vero quando il Nostro dice che “i sordi iu ci le dati, ma su stati spisi male, v’arricurdati a Litteri e Perez?”.
Però, a Dicembre, il Grande Comunicatore ha meravigliato l’intero popolo rossoblu con un vero e proprio coup de théâtre: “faremo un mercato importante”.
Mai parole furono più vere.
Solo che ci siamo dimenticati come il Nostro sia costretto a seguire l’impulso dettato dalla “tinaglia gravis” (cfr. la precedente cartolina), che diviene un assioma euclideo dal quale discende il famoso corollario della relatività guarasciana: “tutto si può dire, tutto si può fare, purché non si spenda”.
Ora analizziamo il termine “importante” alla luce della relatività guarasciana.
Orbene, già di per sé è un aggettivo molto relativo: per me può essere importante un qualcosa che per altri non lo è. Quindi va legato necessariamente alla persona che lo dice. E qui subentra la relatività guarasciana, ed allora la frase va riletta nel seguente modo: “faremo un mercato importante, purché non si spenda”.
E la filastrocca continua:
Tre giocatori ormai ansiosi non fanno altro che guardar, uno torna dall’ex squadra, e due soli ne restar.
I due giocatori stanno fermi per un pò: uno poi prende il treno, l’altro da solo si ritrovò.
Solo, il povero giocatore al Presidente poi chiamò, e dopo neanche un minuto a fare un giro lo mandò.
… e nessuno più restò.
Ed allora, siore e siori, se non siamo stati capaci di far venire Casasola (prova ad offrigli un contratto serio e dubito che rischi giocando con il Frosinone), se non siamo stati capaci di ingaggiare Asencio (prova ad offrirgli un contratto serio, a condizione che lo sottoscriva subito), se non siamo stati capaci di ingaggiare cotal Varela dal Gladiator di Santa Maria Capua Vetere (squadra terzultima nella Serie D campana), vuol dire che siamo veramente “in linea con la pandemia”.
Presidè, mi rendo conto che essere al comando di una squadra di calcio è veramente difficile: occorre combinare l’aspetto economico, difficile perché legato a variabili molto aleatorie, con il narcisismo gratificante di chi raggiunge risultati insperati, che spinge a guardare cosa si può fare per compiere un passo in avanti. Ma lei questo secondo aspetto proprio non ce l’ha, ed è questo che crea un distacco abissale tra Lei ed il popolo rossoblu. Non certo il non riuscire ad ingaggiare questo o quel giocatore, cose che possono succedere, ma questo senso di “strazzuneria pietistica” che aleggia da molti, troppi anni, che ci fa sentire inferiori nei confronti di tutti, è logorante e mortifica quell’orgoglio legato all’appartenenza.
La vita è fatta non solo di logica economica che peraltro, nel Suo caso, mi permetto di osservare, non è idonea all’attività di imprenditore calcistico perché, e perdoni la sintesi non esaustiva, la squadra di calcio è una impresa privata che non ha a che fare con Enti pubblici, in quanto verte su logiche di spesa-investimento in relazione ad una visione prospettica a medio termine, che esulano dalle ragioni sottese al contratto appalto, legate al rapporto fornitura-risparmio di spesa.
La vita è fatta anche di emozioni, e su questo aspetto, calcisticamente, Lei difetta, e difetta sul serio.
E mi creda, cerchi di dare almeno un segnale che la linea sin qui seguita è davvero cambiata, altrimenti mi sa che rimarrà solo Lei ad andare allo Stadio (ed anche per i tifosi si potrà dire … e nessuno più restò).
Io, finché non vedrò questo cambiamento, con il Pisa ho chiuso la mia esperienza al San Vito – Marulla (e se me lo avessero detto non ci avrei mai creduto).
Io NON voglio più essere in linea con la pandemia.
FORZA COSENZA